Contratto preliminare di compravendita di un immobile: natura e forma delle clausole vessatorie

L’ordinanza della Cassazione n. 24318 del 5 agosto 2022 offre lo spunto per una analisi della natura delle clausole vessatorie inserite all’interno dei contratti preliminari di compravendita.

Il caso sottoposto all’attenzione della II sezione civile della Suprema Corte riguardava un preliminare di vendita di cosa futura, sottoscritto nel maggio 2004, la cui clausola n. 10 prevedeva che il contratto doveva ritenersi nullo, rectius, inefficace, nel caso in cui la promittente venditrice non avesse ottenuto il permesso a costruire e le ulteriori autorizzazioni necessarie, entro il mese di settembre 2004.

Trattavasi di un contratto preliminare di acquisto sulla carta di un immobile, per il quale veniva versato un anticipo di euro 2.000,00; a distanza di un anno la venditrice ne chiedeva la risoluzione, asserendo di non aver ancora ottenuto il permesso a costruire da parte degli organi competenti.

Il promissario acquirente adiva, dunque, il Tribunale, rilevando che la condizione di cui all’art. 10 aveva natura vessatoria e non poteva essergli opposta in mancanza di specifica sottoscrizione; aggiungeva, inoltre, che la circostanza addotta ai fini della risoluzione non corrispondeva a quanto dichiarato dal Comune che, con nota del 25.5.2005, aveva comunicato di aver rilasciato tutte le prescritte autorizzazioni.

La società costruttrice si costituiva contestando le avverse pretese ma il Tribunale dichiarava la natura vessatoria della suddetta clausola, con conferma della validità delle restanti pattuizioni. Il giudice rilevava che la facoltà di recesso concessa alla venditrice, con rinuncia dell’acquirente ad agire nei sui confronti per il risarcimento del danno derivante dalla mancata vendita dell’immobile, necessitava di apposita approvazione con la doppia firma, ai sensi dell’art. 1341, comma 2, c.c..

La statuizione veniva confermata anche in grado di appello, ove la Corte stabiliva che la clausola n. 10 aveva natura vessatoria, atteso che prevedeva a favore della società costruttrice, che l’aveva predisposta, limitazioni di responsabilità e facoltà di recedere dal contratto, le quali non potevano avere effetto se non specificamente approvate per iscritto, con la doppia sottoscrizione.

Avverso la sentenza di gravame ha proposto ricorso in Cassazione dalla società costruttrice, affidato a 5 motivi.

La Corte ha esaminato, preliminarmente, il quarto motivo attesa la sua priorità logica rispetto alle altre doglianze ed ha ritenuto condivisibile la censura avanzata: in base alle risultanze di causa è emerso che sia il Tribunale che la Corte di appello hanno ritenuto che la clausola n. 10 introduceva un diritto di recesso a vantaggio dell’alienante, ricadente nell’alveo delle clausole vessatorie od onerose.

Tuttavia la Suprema Corte ha rilevato che tale opzione ermeneutica non è confortata dai termini letterali della pattuizione in questione: ciò perché il riconoscimento dello ius poenitendi inserisce nel contratto un diritto potestativo di sciogliersi ad nutum dal contratto, attraverso una semplice manifestazione di volontà da manifestare alla controparte; ma tale evenienza è, per definizione, diversa dalla previsione secondo cui l’efficacia del negozio è subordinata (in via sospensiva o risolutiva) alla verificazione di un avvenimento futuro ed incerto.

Muovendo da tale premessa, il Collegio ha ritenuto contraddittoria la motivazione addotta dalla Corte di appello, che aveva qualificato in termini di recesso la previsione contrattuale.

Invero, la clausola in parola doveva essere qualificata non già come una facoltà del predisponente di sciogliersi unilateralmente dal contratto con efficacia ex nunc (recesso), bensì come una clausola prevedente un avvenimento futuro ed incerto, incidente sul contratto con efficacia ex tunc (condizione risolutiva).